Bella
raga!
Oggi
vorrei raccontarvi di una storia, la storia vissuta da migliaia di
ragazzi poco più grandi di noi durante la prima guerra
mondiale.
Durante
il periodo bellico i soldati dovevano affrontare dei momenti
durissimi in prima linea, in strutture più o meno provvisorie,
con il costante terrore di essere prima o poi colpiti da qualche
cecchino o dal ricevere l'ordine di prepararsi all'assalto.
Esperienze che segnarono molti uomini per tutta la vita, come
dimostrano i molti casi di malattie mentali sviluppate già
durante la guerra o appena tornati nelle proprie case.
Molti
soldati, nel primo anno di guerra, combatterono con in testa dei
semplici berretti che non potevano di certo fermare le pallottole
sparate dalle trincee nemiche o dai cecchini. Nessuno poi,
all'inizio, spiegò ai soldati italiani di restare accovacciati
nelle trincee e di non sporgersi. Ancora più imbarazzante fu
la mancanza di pinze tagliafili in grado di creare velocemente dei
varchi tra i reticolati nemici, posizionati tra la prima linea
offensiva e la prima linea difensiva. Più un soldato perdeva
tempo in questa operazione, più probabilità c'erano di
essere colpiti dai nemici.
La
trincea, un fossato scavato nel terreno al fine di offrire riparo al
fuoco nemico, è un antichissimo sistema difensivo utilizzato
nelle guerre di posizione. Durante la prima guerra mondiale raggiunse
il massimo utilizzo.
In
questo conflitto i militari furono costretti a viverci per quattro
lunghissimi anni, in pessime condizioni: la sporcizia e la
mancanza di igiene trasformò ben presto le trincee in un
rifugio per topi che prolificarono a dismisura; le intemperie
climatiche, erano insopportabili e la situazione era
aggravata soprattutto dallo stato di tensione continua che
logorava i nervi.
Un
altro grande problema durante la Grande Guerra era quello
dell'alimentazione sia per la popolazione civile che per i militari.
Tuttavia a differenza del rancio austro-ungarico, l'esercito italiano
dava ogni giorno ai suoi soldati 600
grammi di pane,
100
grammi di carne (in scatola) e pasta (o
riso),frutta
e verdura (a
volte), un
quarto di vino.
L'acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo
litro al giorno. Per coloro che si trovavano in
prima linea la gavetta (a volte, in casi di emergenza, si usava
l'elmo rovesciato!) era
leggermente più
grande.
Prima degli assalti inoltre venivano distribuite anche delle dosi più
consistenti con l'aggiunta di gallette,
scatole di carne, cioccolato e liquori.
Ogni gavetta era decorata con
motti patriottici come "Savoia!" o
"Antipasto
finissimo Trento e Trieste".
Anche
l'equipaggiamenti distribuito agli Alpini era assolutamente inadatto
alla vita in quota. Nonostante il clima estremo (non erano rare le
nevicate estive), nella maggior parte dei baraccamenti la sola fonte
di riscaldamento erano
i piccoli fornelletti per
le vivande. I vestiti di lana erano pochi e molti dovettero
costruirsi degli occhiali
da sole (utilizzando
dell'alluminio) per prevenire i danni dei raggi solari. Inoltre per
tutto il 1915 i soldati combatterono con le loro uniformi
grigio-verdi che, in mezzo al manto nevoso, erano facilmente
individuabili dai nemici. Solamente l'anno successivo furono
distribuite le prime tute
bianche che
garantivano una maggiore mimetizzazione.
Al
di la' delle difficilissime condizioni di vita ciò che rendeva
le sofferenze inaccettabili era la costante presenza della morte
incombente: un soldato dopo colazione non sapeva se sarebbe arrivato
a cena… Inoltre aveva davanti a se uno spettacolo agghiacciante: i
cadaveri rimanevano tra le opposte trincee, nella zona chiamata terra
di nessuno, per giorni, talvolta per sempre.
Alla prossima!
Matteo
Nessun commento:
Posta un commento