mercoledì 25 febbraio 2015

Dietro le quinte della storia... La vita del soldato in trincea

Bella raga!
Oggi vorrei raccontarvi di una storia, la storia vissuta da migliaia di ragazzi poco più grandi di noi durante la prima guerra mondiale.




Durante il periodo bellico i soldati dovevano affrontare dei momenti durissimi in prima linea, in strutture più o meno provvisorie, con il costante terrore di essere prima o poi colpiti da qualche cecchino o dal ricevere l'ordine di prepararsi all'assalto. Esperienze che segnarono molti uomini per tutta la vita, come dimostrano i molti casi di malattie mentali sviluppate già durante la guerra o appena tornati nelle proprie case.
Molti soldati, nel primo anno di guerra, combatterono con in testa dei semplici berretti che non potevano di certo fermare le pallottole sparate dalle trincee nemiche o dai cecchini. Nessuno poi, all'inizio, spiegò ai soldati italiani di restare accovacciati nelle trincee e di non sporgersi. Ancora più imbarazzante fu la mancanza di pinze tagliafili in grado di creare velocemente dei varchi tra i reticolati nemici, posizionati tra la prima linea offensiva e la prima linea difensiva. Più un soldato perdeva tempo in questa operazione, più probabilità c'erano di essere colpiti dai nemici. 
La trincea, un fossato scavato nel terreno al fine di offrire riparo al fuoco nemico, è un antichissimo sistema difensivo utilizzato nelle guerre di posizione. Durante la prima guerra mondiale raggiunse il massimo utilizzo.

In questo conflitto i militari furono costretti a viverci per quattro lunghissimi anni, in pessime condizioni: la sporcizia e la mancanza di igiene trasformò ben presto le trincee in un rifugio per topi che prolificarono a dismisura; le intemperie climatiche, erano insopportabili e la situazione era aggravata soprattutto dallo stato di tensione continua che logorava i nervi. 
Un altro grande problema durante la Grande Guerra era quello dell'alimentazione sia per la popolazione civile che per i militari. 

Tuttavia a differenza del rancio austro-ungarico, l'esercito italiano dava ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di carne (in scatola) e pasta (o riso),frutta e verdura (a volte), un quarto di vino. L'acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al giorno. Per coloro che si trovavano in prima linea la gavetta (a volte, in casi di emergenza, si usava l'elmo rovesciato!)  era leggermente più grande. Prima degli assalti inoltre venivano distribuite anche delle dosi più consistenti con l'aggiunta di gallette, scatole di carne, cioccolato e liquori. Ogni gavetta era decorata con motti patriottici come "Savoia!" o "Antipasto finissimo Trento e Trieste".
Anche l'equipaggiamenti distribuito agli Alpini era assolutamente inadatto alla vita in quota. Nonostante il clima estremo (non erano rare le nevicate estive), nella maggior parte dei baraccamenti la sola fonte di riscaldamento erano i piccoli fornelletti per le vivande. I vestiti di lana erano pochi e molti dovettero costruirsi degli occhiali da sole (utilizzando dell'alluminio) per prevenire i danni dei raggi solari. Inoltre per tutto il 1915 i soldati combatterono con le loro uniformi grigio-verdi che, in mezzo al manto nevoso, erano facilmente individuabili dai nemici. Solamente l'anno successivo furono distribuite le prime tute bianche che garantivano una maggiore mimetizzazione.
Al di la' delle difficilissime condizioni di vita ciò che rendeva le sofferenze inaccettabili era la costante presenza della morte incombente: un soldato dopo colazione non sapeva se sarebbe arrivato a cena… Inoltre aveva davanti a se uno spettacolo agghiacciante: i cadaveri rimanevano tra le opposte trincee, nella zona chiamata terra di nessuno, per giorni, talvolta per sempre. 
Alla prossima! 
Matteo





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